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Irlanda Notizie sul whisky

Gli imbottigliatori indipendenti nel whiskey irlandese – 2

Seconda parte dell'analisi sulla storia dei bonder in Irlanda
Adattamento di un articolo di Mark McLaughlin per Irish Whiskey Magazine

Nell’articolo precedente abbiamo parlato dell’importanza storica degli imbottigliamenti indipendenti (IB) e come sia una categoria che non vada sottovalutata: questa attività, in negativo come in positivo, ha aiutato a dare forma al futuro del whiskey irlandese, influendo sulla creazione e sul successo di alcuni marchi molto noti e amati.

Riprendendo la nostra esplorazione, è evidente come il crollo e la rinascita del whiskey irlandese siano legati agli IB, essendo stati parte attiva degli eventi lungo la storia.
Nel pieno del collasso del whiskey irlandese, tra il 1933 e il 1966, con la fine del Proibizionismo negli Stati Uniti, il settore non fu in grado di capitalizzare la nuova domanda di whiskey dato che le instabilità politiche del paese portarono a distillazioni intermittenti e al prosciugamento delle riserve. Questo mentre i cugini scozzesi, che avevano abbracciato la distillazione a colonna da oltre mezzo secolo diventando maestri nell’arte del blending, divennero non solo una valida alternativa al whiskey irlandese, ma il whisky per antonomasia negli Stati Uniti. Questo mise il settore del whiskey irlandese sotto una forte pressione, portando diverse distillerie alla chiusura, ma secondo molti fu la pessima gestione delle scorte causata dai limiti imposti sull’esportazione dal nuovo Stato Libero d’Irlanda a dare il colpo di grazia. L’obbligo di destinare buona parte della produzione al mercato interno, per aumentare gli introiti provenienti dalle tasse, portò molte piccole realtà a finire soffocate, non potendo competere con i marchi più grandi.

Quanta importanza ciò abbia avuto nell’evolversi degli IB si può capire guardando alla storia del marchio Tullamore D.E.W. Sappiamo che la chiusura della loro distilleria nel 1954 non mise la parola fine al marchio: con i magazzini ormai semi-vuoti, strinsero un accordo con John Powers & Son negli anni ’60 per acquisire i diritti sul marchio.
Da quel momento, Tullamore D.E.W. divenne un prodotto IB, dapprima usando le scorte prodotte dalla distilleria Powers John Lane, per spostarsi poi al distillato prodotto da Midleton quando divenne parte della Irish Distillers Limited nel 1975. Rimase nel portafoglio della IDL fino al 1994, quando venne venduta alla C&C Group come corpo centrale del loro settore distillati, con la produzione che rimase a Midleton. Questa acquisizione dimostra la volontà da parte di C&C Group di mantenere Tullamore D.E.W. come marchio IB: perché investire in una distilleria se puoi avere qualcuno che produce per te?
Nel 2010 il marchio cambiò di nuovo proprietà, con l’acquisto da parte dei giganti di William Grant & Sons, con la volontà di riportare il marchio alla vecchia gloria: prima con l’apertura di un centro visitatori nella Old Bonded Warehouse a Tullamore, e poi, nel 2014, realizzando una nuova distilleria che riportasse la produzione nel suo luogo d’origine. L’obbiettivo era quello di avere, nel giro di qualche decennio, il 100% del whiskey Tullamore D.E.W. che provenisse dai loro impianti: al 2021 (anno in cui è stato redatto l’articolo N.d.T.) ancora dobbiamo vedere il distillato maturo di loro produzione, e non sappiamo se creeranno una linea differente rispetto a quella principale.
Senza la disponibilità di distillato di terze parti ottenuto grazie ai contratti stipulati con Midleton, probabilmente Tullamore D.E.W. sarebbe finita nel dimenticatoio. Quelli più attenti alla provenienza dei distillati avrebbero un sussulto nel guardare da vicino le bottiglie, dato che non viene indicato il luogo di produzione né viene citato il fatto che la distilleria abbia chiuso negli anni ’50. Ma non sono in molti a lamentarsene, e dato il successo del marchio, direi che nemmeno ai consumatori importi granché.

Ora però hanno un altro problema. Il prodotto principale, Tullamore D.E.W., che nel 2019 ha venduto nel mondo 1,5 milioni di casse, viene realizzato usando distillato proveniente da Midleton e Bushmills: quando ci sarà la transizione con quello prodotto da loro, saranno in grado di ricreare il profilo aromatico riconosciuto globalmente? Se il marchio fosse stato rilanciato da una piccola realtà indipendente, con capacità limitate, la risposta sarebbe no, ma Grants ha un buon portafoglio di distillerie in Scozia, e il profilo del nuovo distillato è stato sperimentato ad Ailsa Bay prima ancora che venissero costruiti gli alambicchi.
Per qualcuno questo potrebbe essere uno shock, un whiskey irlandese prodotto in Scozia, ma d’altronde si trattava solo di test, che forse non vedranno mai la luce del sole, anche se personalmente sarei curioso di provarli. Non tanto perché creati in Scozia (elemento del tutto irrilevante), ma per capire quale possa essere il distillato di Tullamore D.E.W. che producono oggi. La scienza dietro alla produzione del whiskey è diventata così avanzata da poter creare due whiskey identici in due parti del mondo diverse con apparecchi diversi? Sarebbe interessante da capire, visto soprattutto quanto si parli di terroir ultimamente.

E quindi, gli IB hanno mantenuto in vita il secondo marchio irlandese per vendite al mondo, ma che succede a un marchio nato come imbottigliatore che oggi si trova a vendere il proprio distillato sotto la stessa etichetta? Affrontiamo quel crogiolo di mezze verità che è la distilleria Teeling. Questa distilleria è una delle rappresentanti di punta della new wave del whiskey irlandese, che ha saputo coinvolgere una nuova generazione di consumatori, più esigenti, più curiosi e meno inclini al perdono. Ma finora pare che Teeling sia riuscita a evitare tutte le trappole sulla questione dell’origine del distillato.
Il 2013 ha segnato l’uscita del core range della distilleria, la Teeling Trilogy, ancora presente sugli scaffali: Small Batch, Single Malt e Single Grain, tutti whiskey inizialmente IB. L’origine non è in discussione vista la storia nel settore della famiglia Teeling, con John che vendette Cooley e Kilbeggan a Beam nel 2011 per 75 milioni di euro, grazie ai quali il figlio Jack potè fondare la nuova distilleria, raggiunto in breve tempo dal fratello Stephen.
Quando uscirono i primi imbottigliamenti, ai consumatori curiosi fu spiegato che provenivano da alcune scorte che si erano procurati da Cooley ai tempi in cui vi lavoravano, il che in effetti avrebbe anche senso. Ma nei primi due anni di attività inaugurarono la Vintage Reserve Collection (VRC) composta da single malt di 21, 26 e 30 anni di invecchiamento, il che fece sollevare più di un sopracciglio dato che gli ultimi due risultavano più vecchi di Cooley stessa.
Dato che erano tutti single malt e che la data di distillazione veniva dichiarata senza remore, il consumatore curioso poteva fare due più due e capire che quei whiskey potevano provenire solo da Bushmills. O almeno, oggi è facile pensarlo, perché all’epoca pare non fosse proprio così evidente per tutti. Bushmills era l’unica distilleria a produrre single malt in Irlanda, essendo gli unici produttori oltre a Midleton dal 1975 fino all’apertura di Cooley nel 1989.
Il problema è che Bushmills era nota per produrre solo single malt non torbati da tripla distillazione, mentre Teeling dichiarava che i whiskey della VRC provenissero da doppia distillazione, alcuni con una piccola percentuale di torbato, altri a partire da crystal malt: musica per le orecchie degli appassionati. Io credo che, in realtà, quei whiskey siano stati distillati tra gli anni ’80 e l’inizio dei ’90 dal noto distillatore Frank McHardy quando lavorava per Bushmills, realizzati con lo scopo di essere rivenduti e quindi non andare sotto la loro etichetta, il che finì per favorire chi fu in grado di acquistarne le scorte quando Diageo ne vendette una buona parte durante la pre-vendita di Bushmills a Casa Cuervo nel 2014. Mistero risolto, direi.

È qui che le linee sfocate che circondano la trasparenza e gli imbottigliamenti di terze parti iniziano ad appesantire il settore. Prima di tutto, è pratica comune per chi vende il proprio whiskey far sottoscrivere al compratore un patto di non divulgazione (NDA) per proteggersi nel caso l’imbottigliatore realizzi un prodotto molto al di sotto dei propri standard. Secondo, spesso quando raggiunge il consumatore finale, il whiskey è già passato attraverso quattro o cinque mani diverse, dato che non sono pochi coloro che cedano a buon profitto parte delle proprie scorte già mature, provenienti da fonti differenti, ai nuovi arrivati del settore. La domanda di invecchiamenti maturi ha portato a una consistente crescita dei prezzi, dando vita a un mercato che fa il gioco dei venditori portando il prezzo finale a diventare sempre più alto.
Questi NDA potrebbero essere uno dei motivi per cui Teeling non si è messa a strombazzare ai quattro venti la provenienza dei propri single malt, peccato però che abbiano raccolto diversi premi per un whiskey frutto del lavoro (non dichiarato) fatto da Frank McHardy. Ma non solo gli unici, giacché i più astuti sanno bene come questi whiskey siano apparsi in diversi IB, tra Irlanda e Europa: basta guardare tutti i single malt distillati tra il 1986 e il 1991.
Distillazioni che furono spinte dalla scarsa richiesta di whiskey irlandese e dalla necessità di fonti di guadagno extra, e per nostra fortuna possiamo apprezzare il lavoro di McHardy attraverso gli IB di Teeling, la serie Celtic Cask di JJ Corry e i numerosi imbottigliatori in tutta Europa, dando agli appassionati di whiskey irlandese un’altra fonte di godimento al di fuori dei marchi più noti.

Nel prossimo articolo, guarderemo ai marchi che hanno reso popolari gli IB nella nuova era del whiskey irlandese, con il ritorno dei bonder e dei mercanti, esplorando anche i marchi che spingono per la trasparenza nell’origine del distillato. Ognuno di questi punti dimostra come il futuro per il whiskey irlandese sia ancora più luminoso grazie anche all’evoluzione dell’imbottigliamento indipendente.

<continua>

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