
Preparatevi a una lunga e appassionata chiacchierata con Marco Maltagliati, che assieme a Federico Mazzieri è mente e anima di Dream Whisky, imbottigliatore (e non solo) italiano che si sta affermando come una delle realtà più interessanti del settore.
WHISKYART: Come nasce la tua passione per il whisky?
Marco Maltagliati: Io nasco come sommelier, con i tre livelli AIS, quindi da sempre appassionato di vino e di buona cucina, facendo ricerca nel campo fin da quando studiavo.
Durante gli studi, infatti, lavoravo anche come barman perché comunque dovevo mantenermi, e ho accresciuto quindi la mia esperienza dietro al bancone, che restava però dozzinale dato che in quel periodo puntavo a fare altro.
L’incontro con il whisky è stato letteralmente una folgorazione: il Caol Ila 12yo! In un bar di paese, forse una domenica d’estate al mare, resto ammaliato dalla piramide sensoriale che mi lasciava tanto in bocca quanto al naso, e mi dico: “Caspita ma che buono che è!”
Da lì comincio un po’ a documentarmi (si parla di circa 10 anni fa), per poi arrivare a un mio grande amico, Claudio Riva di Whisky Club Italia, che assieme a gente come Andrea Giannone o il Gerva (Giuseppe Gervasio Dolci, N.d.R.) è stato un maestro un po’ per tutti i cosiddetti “giovani”. Comincio a leggere quello che scrive, approfondisco sempre di più l’argomento e continuo a coltivare la mia passione del bere e del mangiare, collaboro per qualche tempo con Whisky Club Italia affiancando Claudio in qualche serata, e infine durante una fiera del settore arrivo a conoscere uno dei personaggi di spicco del beverage italiano, il titolare del locale “1930”, Marco Russo. Lì è avvenuto un cambiamento di impostazione: ho capito che non era più un hobby e che potevo farlo diventare un business.
Insomma, tutto è nato da quel Caol Ila di tanti anni fa, e posso ben dire che è stato il whisky a scegliere me, non il contrario!
WHISKYART: Come è proseguito il tuo percorso?
Marco Maltagliati: Inizio la mia collaborazione con il “1930”, organizziamo serate che in 4 anni hanno sempre fatto sold out inventando “l’alchimia del whisky”, trovandoci a essere i primi a riportare lo scotch whisky, e il single malt in particolare, nella miscelazione. Dico riportare perché il single malt in realtà c’è sempre stato nella miscelazione, ma si era perso perché non esistevano più bar capaci di usarlo. Per dire, noi abbiamo portato avanti uno studio di quasi un anno e mezzo solo sul ghiaccio all’interno di una miscelazione! È noto come il whisky a contatto col ghiaccio cambi, quindi va fatta una ricerca a 360° per bilanciarlo in un certo modo.
A quel punto però mi dico basta, ho imparato, ho capito come funziona questo mondo, e sono pronto a rischiare in prima persona, mettendo a frutto tutto il bagaglio di esperienze accumulate. Voglio essere indipendente, voglio mettere in piedi una struttura, diventare imbottigliatore: insomma, voglio creare Dream.
WHISKYART: E Dream è infatti un progetto di ampio respiro che va oltre l’imbottigliamento.
Marco Maltagliati: Esatto.
Dream non sono solo io, siamo io e Federico Mazzieri, e Dream è un po’ il nostro bambino.
Al tempo collaboravo con un locale, e Fede viene a seguire una mia degustazione, si innamora del prodotto, si appassiona e iniziamo a scriverci. Ci troviamo subito a livello di carattere, e finiamo per essere molto uniti: io mi fido ciecamente di Fede come lui di me. Pensa che prima di uscire con Dream abbiamo lavorato quasi un anno sul progetto, su cosa volevamo trasmettere, sulle linee da seguire per ciò che volevamo creare, un rapporto strettissimo.
Anagraficamente Federico è più giovane di me, lui è del ’93 e io del ’77, e lui è “il nuovo”, vede cose che io non posso vedere sia per motivi anagrafici che generazionali, ha un approccio differente, un percorso completamente diverso dal mio. Siamo il blended più riuscito nella storia del whisky!
E quindi Dream è uno stile di vita, dove prima di tutto viene la qualità: una persona sa che quando sceglie un Dream, qualunque Dream, che sia una grappa, un whisky o una tequila, sa che è buono.
Noi ora facciamo scotch whisky perché sono 10 anni che lo studio, quindi penso di conoscerlo abbastanza bene, e rappresenta in pieno lo spirito di Dream, perché è vivo come sa essere vivo un distillato.
Ma appunto Dream non è soltanto imbottigliamento indipendente, è un progetto a 360°, è la volontà di far capire la cultura scozzese, di andare in Scozia e toccarla con mano, perché non si può parlare di whisky se non si è visto come si fa, se non si sono sentiti i profumi di quella terra, per me è inconcepibile.
WHISKYART: Perché in effetti il whisky è anche un momento esperienziale…
Marco Maltagliati: Infatti. Dream non vuole imporre quello che c’è all’interno del bicchiere, ognuno quando si versa uno scotch whisky è chiamato a compiere un percorso intimo legato alla sua infanzia, ai suoi ricordi, alla sua piramide gusto-olfattiva.
Quando siamo partiti, lo “starter pack” di Dream era l’olfatto, il gusto e l’alcol.
L’olfatto perché è il senso più importante che abbiamo ed è quello che tutti danno per scontato. I profumi provocano ramificazioni nei neuroni che arrivano fino all’ipotalamo, dove il profumo di qualcosa ci cambia l’umore, la membrana olfattiva stimola i lobi frontali e ci sviluppa la memoria. La piramide gusto-olfattiva si sviluppa nei bambini dai 2 ai 5 anni, e dunque ognuno ha la propria: se entrambi stiamo assaggiando un whisky e io ti dico che sa di riso con gli ossibuchi, tu magari mi guardi e rispondi che no, sa di baccalà mantecato. Ma se io non ho mai mangiato il baccalà mantecato, è un’impressione che mi manca e che non potrò mai percepire. Da qui si coglie come i sentori siano molto soggettivi.
Una cosa però si capisce: che un whisky è buono. Quando lo si capisce? Quando è armonico.
Noi lavoriamo sulla soggettività e sull’armonia dei whisky delle nostre selezioni, che sono armonici pur essendo totalmente diversi. Pensa al N°2: 55,5% di grado alcolico e non sentirlo, mentre il N°1 è un po’ un cazzotto perché esprime la spigolosità di Ardmore, ma poi ha dietro una dolcezza e un equilibrio con il suo 49,3% di alcol.
Una cosa che ho capito lavorando con i ristoranti è che il consumatore deve essere messo nelle condizioni di avere un prodotto perfetto, senza dover aggiungere acqua: il mio compito è darti un prodotto finito e pronto da gustare. Pensa a cosa accade quando aggiungi l’acqua al whisky, se la prima cosa che senti quando ti avvicini è l’alcol. Quando imbottiglio, io devo aspettare 4 mesi prima che si stabilizzi, e tu lo bevi dopo 30 secondi. Come fa a essersi stabilizzato? Si apre giusto quel pochino, però poi esce l’amaro… non lo apprezzi così com’è.

WHISKYART: Insomma, l’imbottigliatore mette al servizio del consumatore finale tutta la propria esperienza.
Marco Maltagliati: Non è per essere altezzosi, ma c’è una grande ricerca nel prodotto che creiamo, in modo che chi si trovi a berlo debba solo dire, “Cazzo ma che buono, è un cask strength?” No, è un single cask proposto a quei gradi perché sono quelli giusti. Per dire, entro fine anno uscirà un whisky (non ti dico quale) che avrà più di vent’anni: se dopo questo periodo è sceso al 55,5% o 50 o 53, lo lasci così com’è, perché ha già assunto la gradazione giusta. Ma ci son voluti vent’anni però! Se imbottigli un 6 anni al 60% sei un pazzo scatenato, perché fai prima a versare una tanica di benzina (che viene anche meglio!).
WHISKYART: Quindi è l’alcol a giocare un ruolo chiave nella struttura e nell’armonia di un whisky?
Marco Maltagliati: Quello che io dico sempre è che il contenitore del whisky non è la bottiglia, ma l’alcol.
Se noi non avessimo l’alcol, tutti i sentori, i profumi, i sapori non ci sarebbero, ed è l’alcol che fa da involucro e lo rende buono e bilanciato oppure una schifezza. Poi subentra il legno, che secondo me contribuisce al 70% nella riuscita del whisky, che con i suoi carboni attivi purifica il distillato. Poi, tramite il cosiddetto “effetto polmone” grazie all’escursione termica del clima scozzese, estrae tutti gli aromi e i sapori del territorio circostante, della terra, dei fiori. C’è una doppia purificazione dell’alcol, prima nell’alambicco e poi nella botte, per cui bisogna avere pazienza.
Il whisky è un distillato vivo, cambia, e questo lo capiscono in pochi. Non si può apprezzare un whisky se non si accetta l’idea che abbia una propria vita. Non è vero che un whisky vecchio sia più buono di uno giovane: un whisky può essere buono anche a 4 anni. D’altronde, lo dice la parola stessa, “vecchio”, morto, finito: lo butti via o lo misceli con uno più giovane, che gli dia corpo e spigolosità, in cambio magari di aromi e profumi che il vecchio ha comunque sviluppato. Con un single cask ovviamente è più difficile, ma ogni botte ha la sua vita, proprio come gli esseri umani: ho un bambino di 4 anni e li vedo i cambiamenti nel tempo! Quando è giovane, un whisky è spigoloso e indomabile, poi ha la sua adolescenza in cui diventa un cagacazzo che ti cambia tutti i giorni, poi raggiunge la stabilità, e infine la morte. Il quando lo devi capire tu, ma non con un’analisi scientifica, è qualcosa di inafferrabile.
Per questo, nella filosofia Dream, la componente fondamentale è l’emozione! Il whisky non mente, e non puoi mentire tu quando lo avvicini, anche perché ha un grado alcolico importante quindi i freni inibitori dopo due bicchieri se ne vanno!
E quello che fai, quello che sei, esce e interagisce con il whisky. Se una sera sei incazzato, hai litigato con tua moglie o la morosa, è andato male un affare o qualcosa del genere, ci bevi su un bicchiere di whisky e fa schifo. Invece, sei fuori con gli amici, sei con una donna che ti piace, e lo stesso whisky diventa più buono e vero.
WHISKYART: L’emozione gioca quindi un ruolo fondamentale nell’approcciarsi al whisky?
Marco Maltagliati: Assolutamente, e Dream è proprio questo: una filosofia in cui il whisky va prima capito, mettendoci tutto di te stesso. Si tratta di un approccio un po’ diverso in cui non devi avere paura di essere emotivo, di manifestare apertamente quello che provi.
E non devi avere paura di scrivere quello che hai provato, perché non esiste una valutazione migliore di un’altra. Tutti possono bersi un dram, semplicemente perché il whisky è buono, è il re dei distillati perché viene fatto in una certa maniera. E noi ti spieghiamo come.
Il whisky non è elitario, lo può approcciare chiunque, ed è quando diventa puro collezionismo che muore: una cosa è tenere da parte una bella bottiglia da aprire quando tuo figlio compirà 18 anni, ben altro è cercare una bottiglia speciale e poi tenersela lì senza aprirla. Questo in Scozia è inconcepibile.
WHISKYART: Li abbiamo citati prima, quindi mi pare giusto parlarne: Dream N°1 e Dream N°2. Come sono nati?
Marco Maltagliati: Noi siamo nati con le serate: vanno da Dio, ci facciamo conoscere, vediamo interesse, e a quel punto decidiamo di partire con gli imbottigliamenti.
Se avessimo imbottigliato due whisky uguali a tanti altri avremmo sbagliato, quindi siamo partiti intanto da due tipi di torbatura diversa: una eterea come quella dell’Ardmore, e una marina come quella del Caol Ila. Abbiamo però invertito alcuni fattori, mettendo l’invecchiamento in genere usato nello Speyside su Islay, e viceversa, mischiando così un po’ le carte. Abbiamo dato una doppia torbatura a un Ardmore che esce già torbato di suo, e infatti se assaggi il Dream N°1 hai questa sensazione balsamica, di cuoio, poi però avverti la dolcezza e la liquirizia, una mineralità in bocca che si accompagna al salino. Ti ritrovi con sentori primari che arrivano dalla distilleria, dalle fermentazioni, dalla torba eterea dello Speyside, uniti all’invecchiamento nelle botti ex Laphroaig che gli ha donato questa dolcezza, questa rotondità. Se assaggi il N°1 lo senti ciccione, poi però escono la liquirizia e l’eucalipto, poi sparisce l’eucalipto e arriva il mughetto. C’è come una contraddizione unica ma avvolgente. Pensa alla complessità che può avere un whisky che ha 10 anni, passati in una singola botte. Fermiamoci a pensare al tempo, e a quante cose sono cambiate in 10 anni. Pensa a tutto quello che è cambiato in queste ultime tre settimane!
Ecco, il N.1 è un melting pot ma equilibrato, in cui trovi le sensazioni delle Highlands e dello Speyside insieme alla dolcezza e alla stabilità di Islay.
Il N°2 è una bottiglia con un Caol Ila di 7 anni.
A mio parere, un torbato raggiunge il picco qualitativo dai 6 ai 15 anni, dopo di che comincia il declino: a 7 anni è un po’ come una persona di vent’anni, nel pieno della sua giovinezza e vitalità.
Se però avessimo imbottigliato un Caol Ila di 7 anni e basta, saremmo stati uguali a miriadi di altri imbottigliatori, e invece eccolo, il Madeira! Parlandone con Fede gli dicevo: “Ma ti ricordi i falò che si facevano in spiaggia, quando andavi a cuocere le costine e cadeva il grasso sulla cenere, ci mettevi sopra il naso e avevi questo sentore affumicato ma dolce dovuto proprio al grasso del maiale?” Ecco, quando a questo Caol Ila fai fare due giri nel bicchiere e poi aspetti un attimo, lo avvicini al naso e BAM!, hai quel sentore di cenere dolce. Questa sensazione di frutti rossi, di lampone, uniti alla torba e al marino: dolce e secco allo stesso tempo così da prepararti a un’altra bevuta.
In Madeira ha fatto solo l’ultimo anno, se avessimo aspettato una settimana in più a imbottigliarlo l’avremmo sbilanciato, così come se avessimo anticipato di un mese. Era quello il momento di imbottigliarlo, quell’attimo lì. Siamo partiti con una gradazione del 62%, l’abbiamo portato al 55,5% così da favorire una bevuta immediata. Il N°1 è più complesso perché comunque ha una storia completamente diversa, ma se ti piace Caol Ila, il N°2 ti fa diventare matto.
Quando parliamo di Dream N°1 e N°2, bisogna che parliamo anche del N°3, che arriverà tra non molto.
Sarà l’anello di congiunzione tra i primi due: non sarà un whisky torbato, avrà un’età superiore ai 10 anni, con un’etichetta che farà pensare subito a una torta di mele, al burro, a una rosa bianca, alla nocciola… Sarà molto particolare, come del resto i primi due.

WHISKYART: Parlando di etichette, come nascono quelle dei vostri whisky?
Marco Maltagliati: Il N°1 e il N°2 riportano sul fronte gli animali che più rappresentano la zona della distilleria di appartenenza, quindi il cervo per Ardmore e la foca per Caol Ila. Quando siamo su Islay, spesso io e Fede parliamo di Dream seduti su una panchina dando da mangiare alle foche!
Nell’etichetta frontale non mettiamo il nome della distilleria, perché non conta, conta quello che stai bevendo: uno scotch whisky single malt single cask, punto. Sai che quel whisky arriva dalla Scozia, che proviene da una singola botte, vedi quante bottiglie ha prodotto e basta.
Poi giri la bottiglia, e per onestà nei confronti di chi l’ha acquistata, indichiamo dove è stato distillato il whisky, gli anni di invecchiamento (fosse per me, non indicherei l’età, per non creare condizionamenti sul gusto del distillato), come è stato fatto… Devi esserne incuriosito, l’impatto visivo deve farti dire “che bello” e suscitarti il desiderio di assaggiarlo.
WHISKYART: Qual è il futuro di Dream?
Marco Maltagliati: Per noi il futuro è adesso, visto che stiamo lavorando alla collezione di settembre, che è ormai ultimata, nella quale usciremo con cinque o sei single cask.
Uno di questi sarà un superpremium (un whisky importante, al di sopra dei 20 anni), uno sherry cask Pedro Ximénez, e tre prodotti più o meno sulla linea dei numeri 1, 2 e 3. Per il superpremium stiamo valutando anche un’anteprima un pochino particolare, ma è ancora un work in progress.
L’idea è quella di non continuare a imbottigliare ogni 3-4 mesi. Dream farà uscire verso la fine di ogni anno una collezione, così che uno sappia di avere un anno di tempo per provarla (sempre che trovi ancora le bottiglie), senza doversi trovare a inseguire le uscite.
I Dream N°1, N°2 e N°3 ci presentano al mondo, ma la politica futura sarà questa collezione annuale, con un filo conduttore nelle etichette e nelle tipologie. Non saranno cose scontate, saranno sicuramente buone, un po’ come in una degustazione alla cieca dove non sai cosa aspettarti nel bicchiere, ma quando lo provi e giri l’etichetta dici: “Ma dai, non ci credo!”. Saranno prodotti che susciteranno domande e che sorprenderanno.
Quando sarà passato questo periodo di quarantena, riprenderemo le nostre degustazioni nella nostra sede operativa di Milano, in cui organizziamo anche “Il salotto del whisky”, un luogo dove trovare tutta la collezione di bottiglie raccolte da me e Fede in questi anni (quindi anche etichette diverse dalle nostre). Ognuno prenderà quello che vuole, si andrà dal dram da 8 euro a quello da 60 per le bottiglie più importanti, e se avrà voglia di farsi due chiacchiere con me o Federico, noi saremo lì a disposizione. Se invece verrà con degli amici o preferirà andare di sopra a fumarsi un sigaro, potrà farlo in piena libertà.
Poi ogni sera inviteremo una figura diversa, dal produttore di formaggio all’esperto di profumi, al mio amico macellaio che abbina i whisky alle tartare, con la possibilità di abbinare e giocare, proprio come nel salotto di casa propria.
Ci saranno anche i viaggi, in cui Dream si mette a disposizione di gruppi di amici che vogliono scoprire la Scozia o andare su Islay, per pianificare assieme un viaggio esperienziale. Il che significa alloggi di un certo genere, tempistica di un certo tipo (non si può stare su Islay o in Scozia meno di una settimana). Bisogna prendersi il tempo necessario per visitare, scegliendo bene, dato che non ci sono solo distillerie ma anche spiagge, parchi naturali, castelli, il tutto in base alla zona in cui ci si trova.
Oltre ai viaggi, Dream organizzerà anche trasferte aziendali, perché magari un locale desidera portare con sé il proprio staff per fare formazione o team building.Infine, una volta all’anno Dream metterà a punto un proprio viaggio con un itinerario specifico, proponendo delle tappe e dei percorsi precisi.
Insomma… questo è Dream: un progetto figlio di Federico e Marco, in cui entrambi mettiamo tutto di noi stessi, ognuno parte essenziale e imprescindibile di questa avventura!
Le altre interviste nel blog:
MWF: intervista ad Andrea Giannone
Redrum: intervista a Diego Galuppi
Atlas – Whiskyteca & Rumteca: intervista a Lorenzo Lutti
Love Craft: intervista a Gabriele Guazzini
Blackadder: intervista esclusiva con Hannah Tucek
Big Peat: due chiacchiere con Fred Laing
Compass Box: intervista a John Glaser