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Giappone Notizie sul whisky

Una regolamentazione per il whisky giapponese

Il Far West del whisky giapponese potrebbe terminare a breve

Un articolo di Liam Hiller per conto di Dekanta

La notizia potrà stupire più di qualcuno, ma a oggi non esiste un regolamento ufficiale che stabilisca cosa sia (e cosa non sia) un whisky giapponese.
A differenza dello scotch, dove i produttori sono tenuti a seguire una stringente serie di regole per produzione, maturazione e imbottigliamento del proprio whisky, in Giappone distillatori e blender possono al momento fare un po’ quello che gli pare e appiccicarci l’etichetta di whisky giapponese.

Il che significa poter usare scotch importato da mescolare a piccole quantità di whisky giapponese per poi applicargli la relativa etichetta (pratica nota come tea-spooning), oppure usare un distillato neutro prodotto dalla melassa e importato dal Sud America.
Per chi decide di spendere i propri soldi nei whisky giapponesi questo è un particolare che può lasciare di stucco o persino far incazzare, specie considerando i prezzi gonfiati degli ultimi tempi, grazie alla domanda crescente e alla diminuzione delle scorte. 

Vale comunque la pena ricordare che il settore del whisky giapponese è relativamente giovane, appena cento anni, molti meno di quello americano o scozzese, e che ha vissuto un vero e proprio boom solo negli ultimi vent’anni.
La mancanza di regole non è certo stata fin qui l’ideale, ma è comprensibile come non sia stato creato alcun organismo ufficiale dato che, fino all’inizio di questo secolo, non era semplicemente necessario.

Quando un settore vive un’espansione così accentuata, ricevendo riconoscimenti e interesse a livello mondiale come è accaduto per il whisky giapponese, il bisogno di regole strette diventa quasi obbligatorio. 

Fortunatamente, pare che uno standard per ciò che possa (e non possa) essere chiamato whisky giapponese sia in vista. 

Al momento ci sono due organizzazioni separate in Giappone che stanno lavorando a questo obbiettivo: l’Associazione di Produttori di Distillati e Liquori Giapponesi e il Centro di Ricerche sul Whisky Giapponese (ci riferiremo per comodità a entrambi rispettivamente con JSMA e JWRC, dai nomi in inglese Japanese Spirits and Liqueurs Makers Association e Japanese Whisky Research Centre). Entrambi stanno cercando di migliorare la situazione attuale e creare uno standard per il whisky giapponese e, curiosamente, lo stanno facendo in modi diversi. 

La JSMA è un’organizzazione extra-governativa legata strettamente all’Agenzia delle Imposte giapponese: a differenza della SWA (Scotch Whisky Association) in Scozia, che si dedica ai soli produttori di whisky e vive dei fondi creati con i contributi degli associati (i grandi produttori che pagano annualmente in base al proprio volume di vendite), la JSMA rappresenta tutti i produttori di distillati e liquori in Giappone, con gli associati che pagano una quota fissa annuale.

Questo comporta ovviamente dei problemi, dato che non possono dedicare tutto il proprio tempo al settore del whisky, e il budget fisso annuale impone dei limiti vistosi. Ciononostante, quelli della JSMA affermano di star lavorando sodo dietro le quinte per imporre uno standard legale al whisky giapponese. 

Non si sono occupati della cosa per anni, e sebbene siano certi di aver fatto dei progressi, va tenuto presente come gli serva la collaborazione tutti i nomi grossi in gioco, anche nel definire quali debbano essere quegli standard. È un processo lungo, che potrebbe però concludersi molto presto dato che la JSMA afferma di essere vicina a terminare le proprio nuove definizioni.

L’altra organizzazione che sta lavorando sullo stabilire uno standard è il Centro di Ricerche sul Whisky Giapponese. È un’azienda indipendente guidata da Mamoru Tsuchiya, uno dei maggiori esperti di whisky giapponese con anni di conoscenza ed esperienza nel settore, non solo interno ma anche estero.

Il JWRC segue una strada leggermente diversa, che potrebbe però produrre risultati in un tempo più breve. Inizialmente l’idea era di creare un’Associazione di Whisky Giapponese, sulla falsariga della SWA scozzese, ma dopo diverse spinte lobbystiche e discussioni con il JSMA, si è capito come questa non fosse probabilmente la strada giusta da percorrere. Come detto prima, per creare una simile associazione sarebbe necessario l’appoggio e la partecipazione dei produttori di whisky, e per questo esiste già la JSMA. 

Ma creare uno standard per il whisky giapponese è una questione cui il JWRC, e ovviamente Tsuchiya-San, sono molto appassionati, e non erano quindi pronti a mollare per occuparsi d’altro. 

Hanno quindi cambiato tattica.
Intendono comunque creare il proprio standard per ciò che possa o non possa venire chiamato whisky giapponese, coscienti che non potrà essere trascritto come legge, puntando invece a creare un ambiente in cui i produttori di whisky giapponesi si sentano obbligati, persino pressati, a seguire i loro suggerimenti.
E dunque, nel 2019, hanno creato il Concorso di Whisky e Distillati di Tokyo (Tokyo Whisky & Spirits Competition, TWSC).

Premi prestigiosi come questo sono molto preziosi per distillatori e blender, consentendo ai propri whisky di ricevere riconoscimenti d’eccellenza e, quindi, aumentare la reputazione della distilleria, la reputazione del whisky e il numero di bottiglie vendute.

Come sappiamo, i concorsi di distillati in genere hanno delle categorie cui distillerie e imbottigliatori possano far partecipare i propri whisky: può essere la regione o lo stato di provenienza (es., il Miglior Whisky Giapponese) o il numero di anni di invecchiamento (es., il Miglior Single Malt da 10 o 20 anni). Il requisito imposto dal TWSC perché il proprio whisky possa partecipare al concorso in ognuna delle categorie è di rispettarne anche gli standard prefissati.

È un modo intelligente e intrigante per imporre uno standard nel whisky giapponese, e potrebbe ottenere ottimi risultati. 

Purtroppo le definizioni per ogni categoria non erano pronte per essere usate nel 2019, ma il JWRC le ha fatte trovare nero su bianco per il concorso di quest’anno, che si svolgerà il 20 e il 21 maggio prossimi (date non certe dato l’evolversi del Coronavirus).

I whisky distillati, maturati e imbottigliati in Giappone possono andare nella categoria “Whisky Giapponesi” in cui, a differenza della SWA in Scozia, il JWRC non ha ritenuto fosse necessario limitare il tipo di legno usato per le botti o la tipologia stessa di botte. In effetti, non è nemmeno necessario che il whisky sia stato invecchiato in una botte, così da consentire la possibilità di usare l’oke, frutto della tradizione artigianale giapponese pluricentenaria di usare meravigliosi contenitori di legno per gli usi più disparati, dalla conservazione di riso e miso alle abluzioni.

L’idea che questi eleganti contenitori possano essere usati per maturare e insaporire i whisky è nuova, ma non è cosa che preoccupi il JWRC: pur volendo regole più stringenti su cosa possa essere chiamato whisky giapponese, si desidera anche consentire lo sviluppo di creatività e nuove procedure nel settore.

L’unica altra regola in questa categoria è che il whisky sia invecchiato per almeno due anni, il che è nuovamente un po’ diverso rispetto alla Scozia, dove il distillato deve essere invecchiato per almeno tre anni. La riduzione nel tempo di maturazione è legata semplicemente alle differenze climatiche tra Scozia e Giappone, dato che in quest’ultima umidità e temperature più alte spesso portano a una maturazione più rapida.

Le espressioni che rispettano queste regole possono essere chiamate “Whisky Giapponese”, tutto il resto, dal whisky creato con la tecnica del tea-spooning a quello realizzato con distillati importati dall’estero, rientra nella categoria “Whisky Creato in Giappone”. 

Anche se queste non sembrano chissà quali regole, sono un gran miglioramento rispetto a quanto ci fosse finora (ovvero niente), e dovrebbero incoraggiare i produttori a essere più trasparenti con le proprie etichette, il che è appunto l’obiettivo finale tanto del JWRC che della JSMA.

Andando più avanti, sarà interessante vedere quanto questo avrà effetto sui comportamenti di distillerie e produttori, e lo sarà altrettanto scoprire se gli standard fissati dalla JSMA corrisponderanno a quelli del JWRC. 

Entrambi stanno lavorando per lo stesso obbiettivo finale, e sarebbe una delusione se non ci fosse almeno qualche parallelismo tra le definizioni decise dalla due organizzazioni su cosa sia il whisky giapponese.

Ciò che possiamo dire per certo è che ci stiamo spostando verso un settore produttivo più trasparente e giusto, e questo non può che essere positivo. Sono stati appassionati e bevitori ad aver portato il whisky giapponese a essere riconosciuto nel mondo, ed è quindi giusto che questi sappiano cosa si trovano nelle bottiglie che acquistano.
Si spera proprio non manchi molto prima che una etichettatura stringente non sia semplicemente raccomandata e consigliata, ma diventi anche obbligatoria.


Il link all’articolo originale: Dekanta.com

I diritti del pezzo originale di cui abbiamo realizzato la traduzione e le immagini sono proprietà dei rispettivi intestatari.

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